Dolore e percezione del dolore non sono la stessa cosa! Lo stimolo che noi percepiamo come dolore infatti, non è solo un messaggio proveniente dai tessuti danneggiati bensì un’esperienza complessa, il cui sviluppo e la cui intensità sono totalmente condizionati dai potenti filtri percettivi del cervello. I risultati sono spesso strani: si sono osservati numerose volte casi di dolore senza trauma, ma anche di trauma senza dolore. Approfondiamo insieme.
Il cervello a volte esagera!
Quando parliamo di dolore ci riferiamo a un fenomeno complesso che, molto spesso, non si riduce a un semplice rapporto di causa-effetto tra trauma e percezione. Una cosa è certa: il dolore è il risultato della rielaborazione di una serie di fattori che il cervello compie prima di creare l’esperienza del dolore. C’è da dire che il cervello in molti casi è iperprotettivo nei confronti del corpo e spesso esagera emettendo allarmi che in alcune occasioni divengono più gravi della causa stessa che ha determinato il dolore. Questo naturalmente non avviene in tutte le situazioni, anzi. Nella maggior parte dei casi il dolore percepito è del tutto conforme al danno tissutale, specialmente quando si tratta di dolore acuto. Nei dolori di tipo cronico il tema si fa più complesso e lo affronteremo dettagliatamente più avanti. Viene ora da chiedersi quanto il dolore rifletta l’effettivo danno ai tessuti visto che sono stati osservati casi in cui un grande trauma non veniva del tutto percepito e viceversa (quest’ultimo è il cosiddetto dolore nocebo, cioè creato dal cervello partendo dall’idea fasulla di aver subito un trauma).
Cos’è allora il dolore?
Il dolore è il risultato di un sistema di rilevamento delle minacce estremamente complesso, che genera esperienze quasi sempre proporzionate alle minacce stesse e al contesto. Ma non sempre è così. Il dolore infatti è solitamente meno intenso quando una persona si sente al sicuro. Ne è la prova l’esperienza, riportata in più occasioni, dei soldati anche feriti in maniera grave che, una volta in salvo, hanno una percezione del dolore nettamente calmierata.
Di prassi, il cervello valuta criticamente tutti i messaggi di pericolo e li contestualizza. Quando però è ansioso, il cervello può richiedere “più informazioni” ai nervi periferici, ordinando loro di produrre più segnali in risposta a stimoli più piccoli. Oppure può fare esattamente il contrario. Vi sono numerose prove recenti che i nervi periferici possano anche cambiare fisicamente e chimicamente, forse in risposta a richieste cerebrali, condizioni tissutali o entrambi. I messaggi dunque non solo salgono al cervello, ma scendono anche verso le periferie. Questa funzionalità bidirezionale nel sistema del dolore è la principale differenza tra la moderna scienza del dolore e la scienza del dolore della vecchia scuola.
Occhio non vede, cuore non duole!
Si tratta di un vecchio detto, ma nasconde un fondo di grande verità. Tutti abbiamo provato questa esperienza: fare un’iniezione fa meno male se non si guarda l’ago mentre penetra nella pelle. Il motivo è presto detto: se il cervello non può “vedere” la minaccia è meno sensibile a essa. Anche l’approccio al dolore può modificarne l’intensità. Alcune osservazioni nel campo della chirurgia protesica hanno verificato che più i pazienti si dimostrano preoccupati prima dell’intervento, più vivono esperienze negative sulla gestione del dolore nel periodo post-operatorio. Ma come si può gestire il proprio cervello nella percezione del dolore? Il discorso non è così semplice come forse potrebbe sembrare ed è qui che entra in gioco il tema del dolore cronico. Molte minacce percepite non possono essere respinte in modo così netto e convincente e possono continuare a produrre una reazione dolorosa.
Dolore acuto e cronico
Nella maggior parte dei casi, il dolore acuto si correla abbastanza bene con il danno tissutale. Molte delle stranezze del dolore si verificano quando si entra nel campo del dolore cronico. Man mano che il dolore si trascina, la sua relazione con i problemi dei tessuti reali diventa più lontana e in alcuni casi si interrompe completamente. Questo fenomeno è ampiamente noto come sensibilizzazione. Più comunemente accade che la cronicizzazione del dolore comporti un’esagerazione relativamente lieve dell’intensità dei normali problemi di dolore. Nel mondo abbiamo miliardi di casi di dolore cronico per
- lombalgia
- mal di testa
- fascite plantare
solo per fare gli esempi più comuni, che sono tutti dal 20 al 60% più “rumorosi” di quanto dovrebbero essere realmente. Non si tratta di falsi allarmi, ma solo di allarmi fastidiosamente e inutilmente rumorosi. Non tutto il dolore cronico è però disfunzionale: al netto dei casi di ipocondria, il dolore cronico potrebbe banalmente riflettere un danno tissutale non diagnosticato.
È possibile eliminare il dolore “creato” dal cervello?
Sì e no. In molti casi il cervello si “preoccupa” troppo, esagera il pericolo (per solide ragioni evolutive) e non può essere annullato dal desiderio, dalla forza di volontà o da un atteggiamento positivo accuratamente coltivato. Il cervello controlla in modo potente, ma imperfetto, il modo in cui sperimentiamo stimoli potenzialmente minacciosi e purtroppo non possiamo controllarlo. Quello su cui abbiamo un controllo considerevole è invece il contesto in cui vive il nostro cervello. Quello che possiamo cambiare sono le nostre circostanze. Per la gestione del dolore è per questo importante farsi aiutare da un team multidisciplinare che comprenda anche figure in grado di gestire gli aspetti psicologici del trauma e del dolore.
È dunque vero: il dolore può essere una “cosa” del cervello. Non bisogna altresì dimenticare che il corpo ha grande importanza e, prima di escludere possibili cause fisiche, occorre sottoporsi ai controlli più approfonditi.
Per approfondire il tema dell’origine del dolore leggi qui.